Mary Ellen Mark ha dedicato la sua vita a fotografare chi non rientrava negli schemi nella cosiddetta “normalità”. La vita quotidiana degli artisti circensi, la stranezza dei gemelli, la solitudine delle celebrità: era attirata da chiunque emanasse una personalità forte e fuori dell’ordinario.
Soggetti diversi, vite straordinarie ma con uno stile fotografico diretto, semplice e sincero che abbatte ogni sovrastruttura.
“Non mi piacciono le trovate, le ho sempre odiate. Mi piacciono le immagini chiare e pulite. Mi piacciono le cose vere. Per questo credo che le idee migliori siano quelle meno complicate”.
A un anno dalla sua morte, il 25 maggio 2015, la galleria Howard Greenberg di New York esplora, con la mostra Attitude, esattamente questo modo di intendere e usare la fotografia.
Scatti che raccontano le connessioni speciali che la fotografa riusciva a stabilire con i suoi soggetti, fotografie che raccontano l’amore per la vita e per le cose semplici.
“ La fotocamera mi ha permesso di entrare in connessione con le persone in un modo che non ho mai avuto prima. Mi permette di entrare nelle loro vite e di soddisfare la mia curiosità. Un giorno capii che la parola che meglio descriveva questo stato mentale è essere aperta… Posso catturare la vita delle persone che incontro e da loro posso imparare cose nuove”.
Nata nel 1940 a Philadelphia, Mary Ellen Mark, ha interrotto la sua carriera da freelance solo per poco tempo, quando le chiesero di entrare nella prestigiosa agenzia Magnum, nel 1977. Quattro anni dopo, lasciò l’agenzia per tornare alla libertà di cui aveva bisogno. Il suo reportage più conosciuto è Streetwise, pubblicato su Life nel 1983 e dedicato ai minori scappati di casa che vivevano nelle strade di Seattle.
Mary Ellen Mark è stata anche una straordinaria fotografa di scena sui set di un centinaio di film (Apocalypse now, Satyricon, Conoscenza carnale, Big fish) e ha portato il suo approccio documentaristico anche in questo genere.
Fotografie straordinarie che testimoniano, ancora una volta, quanto le parole, spesso, non servano a raccontare le cose più sublimi.