Possiamo considerare la mobile-photography una nuova forma di comunicazione? Ce lo racconta la nostra docente Irene Alison, nel suo libro iRevolution.
Ogni giorno vengono scattate milioni di fotografie e altrettante condivise su internet e social network; se si considera che ogni due minuti vengono fatte più foto di quante ne siano state scattate nel corso di tutto il 1800, si comprende la mole di questo fenomeno e la sua costante crescita.
Diventano, allora, d’obbligo alcune domande: cosa è la Mobile Photography e soprattutto come sta cambiando il mondo della fotografia e la professione del fotografo?
È esattamente questo il tema portante del libro iRevolution di Irene Alison, docente del corso di fotografia contemporanea e nuovi media presso la (nostra) Scuola Romana di Fotografia e Cinema.
Quella della Alison è una riflessione intorno all’utilizzo del telefono cellulare come strumento di ripresa, al suo potenziale e i suoi limiti, nel tentativo di rispondere ad alcuni quesiti figli di quest’epoca e cercare di capire se oggi possiamo considerare la mobile-photography una nuova forma di comunicazione.
Nella realtà attuale in cui ognuno, in qualsiasi momento, può registrare qualunque evento con il proprio telefono, che ruolo resta allora al fotografo professionista?
iRevolution apre un dialogo tra autorevoli punti di vista – curatori, teorici e photoeditor – e dà voce ai professionisti che hanno scelto di abbracciare la sfida di un nuovo strumento.
Proprio dalle loro testimonianze, emerge chiaramente che sono di due tipi i cambiamenti che la mobile photography ha portato nel mondo della fotografia.
- Il primo è il cambiamento del mezzo: dalla macchina fotografica allo smartphone. Un nuovo strumento che finisce per trasformare anche il fotografo: l’utilizzo di un telefono cellulare in zone di guerra o comunque in situazioni difficili, permetta una maggiore invisibilità per il fotografo, affinché possa influenzare in maniera minore, con la sua stessa presenza, lo scenario e le persone fotografate.
- Il secondo cambiamento, quello più profondo, riguarda invece l’estetica: perché, in fin dei conti, non è il mezzo che conta, ma l’immagine finale, ed è proprio su questo fronte che le cose sono maggiormente mutate.
Il fattore che emerge, infatti, con maggiore forza dallo studio di Irene Alison è principalmente estetico, condividere le foto direttamente con un vastissimo pubblico, cancella la figura dell’editor e la selezione compiuta dai giornali e mette a diretto contatto il fotografo con lo spettatore, il confronto diventa sicuramente più immediato e questo porta anche a modificare l’approccio del fotografo stesso alle foto successive.
Si tratta di spunti di riflessioni davvero attuali. Il futuro della fotografia è davvero la Mobile Photography? Voi che ne pensate?